Gherardo delle Notti al Museo degli Uffizzi

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Quando Gerrit van Honthorst se ne andò improvvisamente da Roma nella tarda primavera del 1620 per fare definitivamente ritorno nella natìa Utrecht, dovevano essere circa dieci anni che egli risiedeva in Italia. Probabilmente infatti egli era giunto a Roma all’inizio del secondo decennio del XVII secolo (1610-1611 circa).
Il periodo dell’attività italiana del pittore è quello qualitativamente più ricco e denso di novità stilistiche. L’accostamento alla rivoluzione caravaggesca fu pressoché immediato e i suoi primi dipinti attestano la forza e la crudezza dell’arte di un giovane artista nordico folgorato dal naturalismo del Merisi. Honthorst diventò in poco tempo un grande protagonista, il suo stile si regolarizzò e raggiunse vette di mirabile virtuosismo, specialmente nelle scene a lume di notte (da qui il soprannome Gherardo delle Notti); le sue prove ottennero l’onore di occupare altari importanti delle chiese romane e genovesi (fatto non così comune per un pittore di forte impronta naturalistica). Ben presto fu ricercato da prestigiosi collezionisti, come il marchese Vincenzo Giustiniani e il Granduca di Toscana Cosimo II.
È proprio attraverso la passione di Cosimo II per Gherardo che oggi Firenze possiede quattro bellissime tele di Honthorst: fra queste, tre sono dedicate a soggetti conviviali, decisive per lo sviluppo di questa tipologia d’immagini in ambito italiano e nordico. Anche l’ambasciatore mediceo a Roma, Piero Guicciardini, commissionò a Gherardo nel 1619 la pala per l’altare principale della sua cappella in Santa Felicita: la grande Adorazione dei pastori dipinta a lume di notte, che fu vittima dell’attentato mafioso degli Uffizi nel 1993.
Firenze è dunque una sede significativa per ambientare una mostra sull’attività italiana di Gherardo delle Notti, che è pittore ormai di assoluta rilevanza e d’interesse internazionale, al quale non è stata ancora dedicata un’esposizione monografica, né in Italia né all’estero.
Con le acquisizioni più recenti, raccolte dagli studi degli ultimi anni, il catalogo della produzione italiana dell’artista non supera i quaranta numeri. La mostra presenterà quasi tutti questi dipinti e documenterà accuratamente sia la fase iniziale, più cruda e nordica (con opere come il Cristo morto con due angeli del Palazzo Reale di Genova o la nuova Preghiera di Giuditta prima di decapitare Oloferne, di collezione privata), sia quella più famosa e matura. A questa seconda fase appartengono i risultati straordinari che hanno reso celebre il pittore, come appunto le tele conviviali fiorentine (Cena con sponsali, Buona ventura, Cena con suonatore di liuto) o quelle appartenute a Vincenzo Giustiniani (eccezionale il prestito del Cristo dinanzi a Caifa della National Gallery di Londra). Particolarmente importante la presenza di tre pale d’altare: quella genovese per la chiesa di Sant’Anna (Santa Teresa incoronata da Cristo), quella per Santa Maria della Scala a Roma (Decollazione del Battista) e la grande tela della chiesa dei Cappuccini di Albano, del 1618 (Madonna in gloria con i Santi Francesco e Bonaventura).
I quadri eseguiti in Italia saranno seguiti anche da una ristretta campionatura di dipinti realizzati da Honthorst in Olanda nei primi anni dopo la partenza dalla penisola, per documentare come la sua tavolozza andrà gradualmente schiarendosi (fra essi, il celeberrimo Violinista allegro del Rijksmuseum di Amsterdam).
Un’ampia sezione documenterà la grande influenza avuta da Gherardo sullo sviluppo del filone della pittura a lume di notte, presentando opere di Trophime Bigot, del Maestro del lume di candela, di Giovan Francesco Guerrieri, di Francesco Rustici, di Rutilio Manetti, di Adam de Coster, di Mathias Stomer, di Domenico Fiasella e di Paolo Guidotti. Due dipinti di Abraham Bloemaert, maestro di Honthorst, dimostrano la sua evoluzione stilistica dalla fase tardo manierista della fine del XVI secolo a quella dei primi anni venti del XVII (con il famoso Flautista del Centraal Museum di Utrecht), condizionata anche dal ritorno dell’allievo nella città d’origine nel 1620.
Completa l’esposizione il confronto con alcuni maestri attivi sulla scena romana insieme a Gherardo, che mostrano evidenti tangenze con la sua arte, in uno scambio vivace e fecondo: i suoi concittadini Dirck van Baburen e Hendrick Terbrugghen; lo Spadarino (il cui Convito degli dei degli Uffizi era stato riferito a Honthorst nel 1970); Bartolomeo Manfredi, autore, come Gherardo, di fondamentali scene conviviali.
Arricchisce la mostra la presenza di un dipinto del Caravaggio, eseguito nel 1609 e ben presto giunto alla corte granducale, il Cavadenti della Galleria Palatina: questo grande quadro dovette essere decisivo per la messa a punto dei temi prediletti dal pittore olandese, che lo citerà in almeno tre dipinti. Considerata tale circostanza e l’evidente passione di Cosimo II e di Piero Guicciardini per l’opera di Honthorst, pare lecito ipotizzare in questa sede che, malgrado essa non sia ancora documentata, il pittore abbia avuto una permanenza anche a Firenze.

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